PREMESSA ALLA PRIMA EDIZIONE DELLA «PROTESTA DI LEOPARDI»

Mentre nella quarta edizione della Nuova poetica leopardiana (Firenze, Sansoni, 1971) ho ripubblicato il mio volume del ’47 e vi ho aggiunto il piú breve scritto analitico Tre liriche del Leopardi, già pubblicato nel 1950 (Lucca, Lucentia), nel presente volume ripresento ai lettori, ma con varie aggiunte, specie nelle note, il saggio già apparso come introduzione alla mia edizione di Tutte le opere di Giacomo Leopardi (Firenze, Sansoni, 1969) con il titolo, ora cambiato, di Leopardi poeta delle generose illusioni e dell’eroica persuasione, il saggio del ’62 Leopardi e la poesia del secondo Settecento – anch’esso con varie modifiche e nuove note – già pubblicato nel volume miscellaneo Leopardi e il Settecento (Firenze, Olschki, 1964), il breve saggio-discorso La poesia eroica di Giacomo Leopardi, letto a Recanati il 29 giugno 1960 e apparso nella rivista «Il Ponte», 12, 1960, e la nota La lettera del 20 febbraio 1823, già apparsa nella mia rivista «La Rassegna della letteratura italiana», 2, 1963. Inoltre sarà presto ripubblicata nella Universale Laterza la mia edizione critica e commentata della incompiuta monografia leopardiana del De Sanctis (già pubblicata nel 1953), la cui introduzione del resto – con una lunga postilla che puntualizza il mio attuale punto di vista sulla interpretazione desanctisiana – è stata recentemente ripubblicata nella terza edizione del mio volume Carducci e altri saggi (Torino, Einaudi, 1972).

Cosí i lettori hanno a disposizione tutti i risultati del mio lungo lavoro intorno al Leopardi, iniziatosi esattamente quarant’anni fa, quando impostai il nucleo della mia interpretazione «antiidillica» in una tesina universitaria a Pisa, nel ’34, da cui derivò poi il mio ben piú maturo volume del ’47 e da cui ricavai nel 1935 un breve articolo, Linea e momenti della lirica leopardiana (in Sviluppi delle celebrazioni marchigiane, Macerata, 1936), che non ho ritenuto di ripubblicare perché interamente riassorbito e sviluppato nel volume del ’47, e troppo riassuntivo rispetto al testo della stessa ricordata tesina universitaria, anche se non posso dimenticare il fatto che esso trovò – rispetto alla sua condizione di semiclandestinità – autorevole e gradita attenzione, e aderente ripresa nell’ultimo paragrafo del III volume (1947) del Compendio storico della letteratura italiana di N. Sapegno.

Rimangono ancora inedite le lunghe analisi dei Canti e Operette (in parte derivanti da spunti e osservazioni già presenti nella mia antologia ottocentesca, III volume degli «Scrittori d’Italia» di N. Sapegno, G. Trombatore e W. Binni, uscita presso La Nuova Italia nel 1946) che stesi nelle dispense di tre corsi leopardiani tenuti all’Università di Roma (due edite dalle Edizioni dell’Ateneo, 1965-66, e una ciclostilata nel 1967) che mi riprometto sia di ripubblicare, rivedendole, in rivista, sia di utilizzare nella mai abbandonata idea di giungere ad un’organica monografia leopardiana, di cui il primo saggio del presente volume costituisce già lo schema piú ravvicinato. Che uno studioso attivo in molte altre zone e su molti altri autori della nostra letteratura abbia sentito (e senta ancora) la necessità di ritornare piú volte sul Leopardi è una prova ulteriore della eccezionale forza di attrazione del nostro massimo poeta moderno (per chi scrive qui, forse piú che «un» poeta, «il» poeta della propria prospettiva umana, morale, civile) e della sua viva, centrale presenza nella lunga battaglia ideologico-letteraria che si svolge da tempo, e che oggi ha assunto anche maggiore importanza se devo calcolare la mia cresciuta collaborazione con altri leopardisti (come me, non puri letterati e non solo studiosi specialistici, fortemente coinvolti nella storia etico-politica del nostro tempo) e le stesse reazioni al mio saggio del ’69 (il primo del presente volume) particolarmente vive e compatte in una linea democratica e «progressiva», e l’interesse destato da quel saggio nei giovani piú avanzati e tali che nel loro rifiuto della tradizione sembrarono e sembrano fare eccezione per il grandissimo Leopardi, sentito nella sua forza di modernità e attualità e nel suo poetico messaggio di protesta, e perciò accolsero con grande interesse anche la meritoria rappresentazione teatrale (nel ’70-71) del Leopardi di Renzo Giovampietro, stimolato chiaramente da quel mio saggio di cui la parte iniziale era riportata ad introduzione del libretto di quella rappresentazione (R. Giovampietro, Il galantuomo e il mondo, azione scenica da scritti di Giacomo Leopardi e da documenti del suo tempo, edizioni Gli Associati, Roma, 1971).

Come già nel celebre saggio su Schopenhauer e Leopardi, il grande De Sanctis avvertiva, almeno in parte, la forza di Leopardi come antidoto possente ad ogni ritorno di spiritualismo («l’arca santa» dei reazionari) e ad ogni pessimismo reazionario, molti di noi ben avvertono in Leopardi una forza contestativa profonda, tradotta e «moltiplicata», non bruciata, nella sua grande poesia, un tipo di impegno totale che supera le querelles spesso frivole fra un certo «impegno» di basso livello e di comodo alibi evasivo della poesia «pura», una sollecitazione formidabile a trasformare il sentimento in persuasione («il sentimento senza la persuasione è nullo»), a proseguire nelle condizioni dell’oggi la lotta leopardiana implacabile e vera («nulla al ver detraendo») contro ogni convenzione e contro ogni tentazione del «pestifero egoismo» e delle scappatoie mistiche e mitiche; lotta che è fondamento di una necessaria e doverosa società veramente umana e veramente fraterna.

Walter Binni

Roma, 4 maggio 1973

NOTA ALLA SECONDA EDIZIONE

Esauritasi la prima edizione nel giro di pochi mesi, ripropongo ai lettori, in questa seconda edizione, il libro sostanzialmente immutato (salvo un’accurata revisione tipografica), confidando che esso seguiterà ad avere larga diffusione fra gli studiosi e i lettori del Leopardi.

Walter Binni

Roma, 15 marzo 1974

NOTA ALLA TERZA EDIZIONE

Ripubblico nella «Nuova Biblioteca Sansoni» questo mio libro del 1973, mentre ancora sto lavorando su Leopardi in direzione di nuovi commenti e studi, e perfino di una nuova, piú ampia monografia, tanto questo grandissimo scrittore mi assilla anche dopo un lavoro ormai piú che quarantennale a lui dedicato pur entro un’attività critica rivolta a molti altri scrittori e periodi della nostra storia letteraria.

Dopo la prima uscita di questo libro si è aperto un dibattito (i cui primi germi erano già segnalati in alcune note di questo libro) in seno alla cultura e critica di sinistra circa il valore storico e attuale del Leopardi: dibattito che ha implicazioni complesse di prospettiva culturale, ideologica, politica. Penso che un lettore aggiornato e provveduto ben comprenda come la mia prospettiva (come si è pronunciata fin dal mio libro del ’47, La nuova poetica leopardiana, e come soprattutto si è consolidata nel lungo saggio iniziale di questo volume) appartenga (pur con la sua peculiarità di un’impostazione che non si limita alla collocazione storica, ideologica, culturale del Leopardi, ma tende a commutarne, con lo strumento della poetica, le connotazioni e le direzioni nell’interpretazione e valorizzazione dinamica e storico-critica dell’opera concreta dell’intellettuale-poeta) alla linea che attribuisce al Leopardi un valore assolutamente preminente nella storia (non certo solo letteraria) del suo tempo e un suo valore eccezionale di stimolo nella stessa nostra problematica presente, proprio dal punto di vista di una cultura di sinistra, aperta, antidogmatica e insieme persuasa del proprio dovere di protesta rispetto alla società in cui viviamo, e di costruzione di un’alternativa decisa, senza facili illusioni e senza concessioni e rinunce ai propri obbiettivi di fondo.

Walter Binni

Roma, 1° marzo 1977

PREMESSA ALLA SETTIMA EDIZIONE

Mentre proseguo, in questa fase tarda della mia attività, a studiare l’opera leopardiana e a ricavarne ancora lavoro critico, certo anche in rapporto allo sviluppo attuale delle interpretazioni di varia angolatura, ma soprattutto sulla spinta di un personale e mai interrotto colloquio (ormai da piú di mezzo secolo) con quel grandissimo pensatore e poeta cui tanto debbo per la mia stessa intera prospettiva vitale, accolgo ben volentieri l’invito della casa editrice Sansoni a ripubblicare questo volume, centrale nella mia produzione su Leopardi. Lo ripubblico invariato come apparve nella sua prima edizione nel 1973, con l’aggiunta di un lungo saggio del 1980 La poesia di Leopardi negli anni napoletani, già apportata nell’edizione del 1982. Il volume del 1973 raccoglieva anzitutto il lungo saggio monografico che dà il titolo al libro (e che riprendeva, con arricchimenti sostanziali, l’introduzione all’edizione, curata da me con la collaborazione di E. Ghidetti, di Tutte le opere di Giacomo Leopardi, Firenze, Sansoni 1969) e poi alcuni saggi già editi tra il 1960 e il 1964.

Presso la stessa casa editrice, nella sua edizione piú recente, 1984, l’altro volume La nuova poetica leopardiana ripresenta l’omonimo e assai noto libro edito nel 1947, che ebbe, insieme a un saggio di Luporini, dello stesso anno, una sua particolare funzione nella «svolta» – come fu definita – della critica leopardiana, in rottura della lunga tradizione di un’immagine di Leopardi tutta «idillica», evasiva, catartica, e in promozione del forte rilievo del nesso fondamentale di poesia e pensiero in modi protestatari e ribelli culminanti nell’ultimo periodo della lirica leopardiana. Nella Nuova poetica leopardiana (edizione 1984) una lettura di Tre liriche di Leopardi (già edita nel 1950) e i documenti precedenti della mia interpretazione: un articolo del 1935, Linea e momenti della poesia leopardiana (ricavato da una tesina universitaria pisana del ’33-34), una recensione del 1948 al ricordato saggio di Luporini, e il testo di un intervento del 1980 sulla ripubblicazione di quel saggio.

A precisare la complessa genesi della Protesta di Leopardi come sintesi di tutto il mio lungo lavoro sul poeta anche in corsi universitari, andranno ricordate soprattutto le dispense di tre corsi tenuti all’Università di Roma dal 1964 al 1967, delle quali ho solo pubblicato la parte riguardante le Operette morali (Lettura delle Operette morali, Genova, Marietti 1987), mentre rimangono inedite (anche se circolate appunto in forma di dispense tra molti studiosi di Leopardi) le parti, con lunghe analisi, sul resto dell’opera leopardiana fino al 1830. A parte ricordo (a completamento di questo «resoconto» della mia attività di leopardista e di «leopardiano») la mia edizione critica e commentata del saggio Giacomo Leopardi del De Sanctis (Bari, Laterza 1953) la cui introduzione – arricchita da una lunga postilla che precisa il mio piú recente punto di vista sull’interpretazione desanctisiana – è stata ripubblicata nella terza edizione, 1972, e da allora naturalmente nelle successive edizioni del mio volume Carducci e altri saggi, Torino, Einaudi.

La ripubblicazione attuale della Protesta di Leopardi intende essere non tanto una semplice riaffermazione della mia interpretazione leopardiana in tempi cosí cambiati da quelli in cui essa si propose e venne strutturandosi nella sua maggiore consistenza, quanto un ulteriore modo di collaborazione alla discussione critica sempre in atto sul nostro massimo poeta-pensatore degli ultimi secoli. L’attualità del grandissimo creatore della Ginestra, capolavoro intero e supremo verso cui si svolge, entro una complessità eccezionale di linee, il filo piú profondo della personalità e dell’esperienza esistenziale, filosofica e artistica di Leopardi, è testimoniata da un sintomatico preannuncio dello Zibaldone, là dove, nel 1827, il poeta, proponendo «congetture sopra una futura civilizzazione» anche degli animali, «e massime di qualche specie [...] da operarsi dagli uomini a lungo andare», scriveva: «Insomma la civilizzazione tende naturalmente a propagarsi, e a far sempre nuove massime in quanto all’estensione, e finché vi siano creature civilizzabili e associabili al gran corpo della civilizzazione, alla grande alleanza degli esseri intelligenti contro la natura e contro alle cose non intelligenti. Può servire per la Lettera a un giovane del ventesimo secolo».

La lettera non venne mai stesa, ma ad essa certo il Leopardi seguitò a pensare come a un messaggio rivolto a un «giovane» del lontano futuro, da cui sperava di poter essere compreso, diversamente da quanto era in grado di fare il suo tempo. Quel messaggio, per lui doveroso, proprio nella profonda consapevolezza della fragilissima condizione umana e sempre piú sentito come suprema sfida consegnata alla forza della sua poesia, ci è stato lasciato in quella sorta di testamento filosofico, morale e insieme inseparabilmente poetico che è la Ginestra. Nulla di consolatorio e di catartico in questo canto che invece trasmette ai suoi lettori una profonda consapevolezza della reale e supremamente tragica condizione dell’uomo nell’universo, e insieme la doverosità di una resistenza «eroica» (nel senso piú veramente «leopardiano»), scaturita dal crollo di ogni illusione, di ogni mito spiritualistico e umanistico-prometeico, come via ardua, senza alcuna garanzia di successo, di una prassi personale e interpersonale, nella direzione di una vera «società» umana. E certo molti dei migliori «giovani» di questo ultimo scorcio del «ventesimo secolo» potranno ben sentire l’urgenza dell’appello leopardiano proprio in questo tempo, tra la minaccia nucleare, i crescenti disastri ecologici, e il prevalente rifugio nel «privato», di fronte alla diminuita tensione alla costruzione del «bene comune» e di una società libera, egualitaria e solo cosí veramente giusta e fraterna.

Walter Binni

Roma, 15 aprile 1988